La plastica si trova ormai ovunque: se ne sono trovate tracce persino nei ghiacci e nelle grandi fosse marine, a 10 km di profondità. La plastica potrebbe raggiungere i 34 miliardi di tonnellate nel 2050 e costituisce dopo l’acciaio e il cemento il terzo materiale di origine antropica più diffuso sulla Terra.
MA PERCHÉ È COSÌ DIFFUSA?
La storia della plastica inizia nel 1861 quando l’Inglese Alexander Parkes isola e brevetta il primo materiale plastico semisintetico, il Parkesine. Da allora moltissimi altri materiali plastici sono stati sintetizzati ma è solamente a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso che la plastica entrò indissolubilmente nella vita di tutti i giorni.
Il suo incredibile successo è dovuto al fatto che si tratta di materiali economici, resistenti e duraturi. Tuttavia, l’uso sconsiderato di questi materiali, unitamente all’abitudine ancora in corso dell’usa e getta e a uno smaltimento inappropriato della spazzatura, ha causato l’accumulo di un’enorme quantità di rifiuti plastici nei vari ecosistemi. Il mar Mediterraneo, ad esempio, sta diventando una vera e propria “zuppa” di plastica. Si stima, infatti, che un chilometro quadrato del Mare Nostrum contenga in superficie fino a 10 chilogrammi di plastica!
UN ENORME PERICOLO: IL “MARINE LITTER”
Molti studi che riguardano la salvaguardia del nostro pianeta sono rivolti all’individuazione del “marine litter”, ossia qualsiasi materiale solido persistente fabbricato o trasformato e in seguito scartato, eliminato, abbandonato o perso in ambiente marino o costiero. È stato osservato innumerevoli volte ormai che le tartarughe marine, ad esempio, scambiano le buste di plastica per le loro prede meduse e finiscono per ingerirle. Inoltre, numerose foche e leoni di mare ogni anno muoiono di fame intrappolati nelle reti abbandonate o perse dai pescatori. I detriti plastici uccidono annualmente circa 100.000 mammiferi marini e 2 milioni di uccelli.
Solo nel mar Mediterraneo, che costituisce appena lo 0,82% della superficie complessiva dei mari e degli oceani, galleggiano più di 500 tonnellate di rifiuti di plastica che poi attraverso mareggiate e tempeste possono ritrovarsi sulle spiagge o affondare e accumularsi sui fondali. Nel corso degli anni fortunatamente si intensificano sempre più le campagne per la pulizia delle spiagge; i rifiuti maggiormente rinvenuti sono i mozziconi di sigaretta, bottiglie e buste di plastica, cotton fioc e tanti altri materiali che sono mostrati nella figura sottostante (Fig. 4).
La plastica abbandonata in mare comprende anche le cosiddettte “Ghost nets”, ossia “reti fantasma”, che accidentalmente o intenzionalmente vengono abbandonate in mare dai pescatori e possono rappresentare una trappola mortale per tutti gli abitanti del mare. Il problema maggiore è che queste reti, una volta abbandonate, continuano a pescare potenzialmente all’infinito. Anche le lenze vengono lasciate in mare e molti animali, come i mammiferi marini e le tartarughe marine, possono rimanerci intrappolati o addirittura inghiottirle, provocandosi dei danni all’intestino anche molto seri che, nei casi più gravi, possono portare alla morte.
UN PERICOLO MAGGIORE: LE MICROPLASTICHE
Piu pericolose delle plastiche sono però le microplastiche (Fig. 4): queste costituiscono uno dei peggiori inganni per la flora e fauna marina e sono le principali responsabili del trasferimento nella catena trofica di alcuni inquinanti chimici organici. Ne è un esempio il DDT (para-diclorodifeniltricloroetano), il primo e il più diffuso insetticida al mondo, ormai vietato nella maggior parte delle nazioni.
Le microplastiche si dividono in primarie e secondarie:
- le microplastiche primarie sono quelle che “nascono” già di piccole dimensioni (inferiori a 5mm) come, per esempio, quelle che presenti all’interno di alcuni dentifrici o nelle creme scrub;
- le microplastiche secondarie si originano, invece, dalla frammentazione di plastiche più grandi. Rappresentano circa il 68-81% delle microplastiche presenti nell’oceano.
La quantità di microplastiche presenti negli oceani purtroppo è in aumento. Nel 2017 l’ONU ha dichiarato che ci sono 51mila miliardi di particelle di microplastica nei mari: sono 500 volte più numerose di tutte le stelle della nostra galassia!
QUALI SONO GLI EFFETTI DELLE MICROPLASTICHE?
Queste microplastiche possono provocare effetti diretti e indiretti sugli organismi marini e sull’essere umano: possono essere inghiottite dagli animali marini e, attraverso una risalita lungo la catena alimentare, arrivare fino ai nostri piatti. Le microplastiche sono state trovate, infatti, in diversi alimenti e bevande, compresi birra, miele e acqua del rubinetto. Di conseguenza, non c’è nulla di cui stupirsi se di recente sono state trovate addirittura all’interno di feci umane! Gli effetti sulla salute sono ancora ignoti, ma spesso la plastica contiene degli additivi, come agenti stabilizzatori o ignifughi, e/o altre possibili sostanze chimiche tossiche che possono essere dannosi per gli animali o gli umani che li ingeriscono.
- Il bioaccumulo è quel processo che provoca un incremento della concentrazione chimica di un composto all’interno di un organismo rispetto alla concentrazione presente in acqua, a causa di tutte le vie d’esposizione: trasporto attraverso le superfici respiratorie e dermali, assunzione di cibo ecc.
- La biomagnificazione è, invece, un caso speciale di bioaccumulo in cui la concentrazione chimica del composto inquinante nell’organismo è maggiore rispetto alla concentrazione dello stesso composto nell’organismo che costituisce la sua dieta. Di conseguenza, gli organismi all’apice della catena alimentare (compresi noi!) risultano maggiormente “colpiti” da questo tipo di inquinamento.
COSA POSSIAMO FARE PER MIGLIORARCI?
In definitiva si possono aiutare gli oceani, e più in generale l’ambiente, seguendo alcuni consigli:
• Sostituire i sacchetti di plastica monouso con borse riutilizzabili in tessuto;
• Prediligere l’uso di prodotti alla spina e preferire l’acqua di rubinetto alle acque imbottigliate;
• Riciclare correttamente le bottiglie di plastica;
• Non disperdere nell'ambiente mozziconi di sigaretta;
• Scegliere la propria dieta in maniera più consapevole: le pratiche di pesca, ad esempio, si stanno rivelando sempre più insostenibili. Ecco perché un modo per dare il proprio contributo è anche quello di compiere scelte alimentari consapevoli, come verificare se il pesce acquistato sia stato catturato e allevato in maniera sostenibile per l’ambiente. Alcune app, ad esempio, aiutano l’individuazione di ristoranti e supermercati che vendono prodotti ecosostenibili, nel rispetto degli oceani;
• Limitare l'uso di tazze, posate e cannucce di plastica.
Possiamo inoltre:
• Organizzare e partecipare a eventi di pulizia delle spiagge
• Evitare di acquistare prodotti in contenitori di plastica
• Supportare un'organizzazione per la difesa del mare