Oltre al cosiddetto “riscaldamento globale”, l’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera comporta l’acidificazione degli oceani. Ma di che si tratta?
CHE COSA SI INTENDE PER ACIDIFICAZIONE DEGLI OCEANI?
Prima di rispondere a questa domanda vanno chiarite due cose:
1) Il pH è una grandezza fisica che indica il grado di acidità di una soluzione (nel nostro caso l’acqua marina). Può assumere valori da 0 a 14. Un pH maggiore di 7 indica una soluzione basica, un pH minore di 7 una soluzione acida. Infine, una soluzione a pH = 7 viene considerata neutra. In generale, si definisce “acidificazione” quel processo chimico mediante il quale una soluzione diventa acida.
2) L’anidride carbonica (CO2), di cui ormai sentiamo parlare costantemente in relazione ai cambiamenti climatici, è un gas che era normalmente presente in atmosfera già prima dell’era industriale. La sua concentrazione in atmosfera ha subito, nel corso delle varie ere geologiche, diverse fluttuazioni, aumentando e diminuendo con una certa regolarità. Oggi però, la quantità di CO2 presente in atmosfera supera di gran lunga i valori osservati nel corso della storia del pianeta. Responsabile di questo triste “record”: l’uomo. Il consumo irresponsabile di ingenti quantità di combustibili fossili e la deforestazione, attualmente in atto ancora in diverse parti del mondo, sono tra le principali cause di emissione di CO2.
Che cosa c’entra tutto questo con l’acidificazione degli oceani?
L’acidificazione degli oceani non è nient’altro che la riduzione del pH oceanico. Ma chi è il responsabile? Beh, proprio la CO2. Circa il 30% della CO2 emessa infatti finisce nei mari e negli oceani: si tratta di ben 25 milioni di tonnellate assorbite ogni giorno! Questo gas reagisce con le molecole d’acqua (H2O) portando alla formazione dell’acido carbonico (H2CO3) il quale, essendo molto instabile, si dissocia rapidamente nelle sue componenti, ossia ioni bicarbonato (HCO3-), carbonato (CO32-) e idrogeno (H+). Sono proprio quest’ultimi che incrementano l’acidità del mare. Detto in altri termini, maggiore è la quantità di C02 assorbita dai nostri mari, maggiore sarà la concentrazione di ioni H+ che si formeranno in acqua e, di conseguenza, maggiore sarà la riduzione del pH dell’acqua marina.
MA CHE CONSEGUENZE HA L’ACIDIFICAZIONE DEGLI OCEANI?
Come abbiamo appena visto, l’aumento di ioni H+ in acqua fa diminuire la concentrazione di ioni carbonato (CO32-). Che conseguenza ha tutto questo sulla vita marina? Ebbene, molti organismi marini tra i quali i molluschi, i coralli, le stelle marine, i ricci di mare e tanti altri ancora, utilizzano due minerali di carbonato di calcio (CaCO3), ossia l’aragonite e la calcite, per la costruzione delle proprie parti dure (conchiglie, scheletri esterni ecc.) attraverso il processo biologico di “calcificazione”. Se il livello di pH dell’acqua marina scende eccessivamente, queste strutture si dissolvono o, nel peggiore dei casi, non si formano affatto. Moltissime forme di vita, dunque, in acque troppo acide mostrano ridotti tassi di crescita, di sviluppo e calcificazione e, di conseguenza, una ridotta capacità di sopravvivenza.
Qualcuno però ne trae vantaggi…
Alcuni organismi traggono beneficio dal processo di acidificazione: si tratta principalmente delle diatomee, microscopiche alghe che fanno parte di quello che viene definito “fitoplancton”, ossia la componente vegetale microscopica dei nostri mari. La maggior concentrazione di CO2 in acqua sembra, in effetti, che incrementi la loro capacità di svolgere la fotosintesi clorofilliana.
PERCHÉ L’UOMO DOVREBBE PREOCCUPARSENE?
L’acidificazione purtroppo ha delle ripercussioni negative anche sulle nostre vite e questo per due motivi principali:
1) Gli organismi marini maggiormente sensibili alle variazioni di pH potrebbero in futuro riprodursi sempre meno e avere difficoltà a prosperare. Questo comporterebbe una diminuzione netta del cibo che sarà disponibile sui nostri mercati non solo perché alcune di queste specie le consumiamo direttamente (come, ad esempio, le cozze e le ostriche) ma anche perché buona parte di questi organismi sono la fonte alimentare di altri pesci di interesse commerciale. Un esempio fra tutti: gli pteropodi, piccole lumache di mare particolarmente gradite dai salmoni nordamericani dei quali ci nutriamo con regolarità. Il settore ittico e commerciale subirebbe, come potete ben immaginare, proprio un grosso colpo.
2) L’acidificazione degli oceani fu responsabile della più grande estinzione di massa, verificatasi 252 milioni di fa tra il Permiano e il Triassico. All’epoca, la riduzione del pH oceanico fu scatenata dall'estrema attività vulcanica della Terra e ciò comportò la scomparsa del 90% delle specie marine allora esistenti e della quasi la totalità della fauna terrestre.
IN CONCLUSIONE, POSSIAMO FARE QUALCOSA PER CONTRASTARLA?
Per frenare il processo di acidificazione degli oceani è necessario assolutamente diminuire in maniera drastica le emissioni di CO2. L’accordo di Parigi, stilato tra gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), riguarda proprio la riduzione di emissione di gas serra a partire dal 2020 e ha, tra i vari obiettivi, quello di limitare l'aumento della temperatura a 1,5°C. Ciò ridurrebbe in misura significativa i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici. Per raggiungere questo scopo occorre però cambiare radicalmente il nostro stile di vita e, nonostante i risultati “positivi” che riusciremo a ottenere, si stima che saranno comunque necessari centinaia di anni prima che le acque del pianeta tornino alle condizioni preindustriali!
Cosa può fare ciascuno di noi nel suo piccolo?
Sicuramente ognuno di noi può, con semplici gesti, fare la differenza. Ecco alcune azioni significative da considerare:
- Evitare di prendere l’automobile per i propri spostamenti quotidiani e prediligere i mezzi di trasporto pubblici; questo può avere un grande impatto nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
- Una buona regola da adottare è quella delle tre “R”: Riduci, Riusa e Ricicla. La produzione di qualsiasi oggetto, infatti, comporta una inevitabile emissione di CO2. Inoltre, buttare via qualcosa che ancora può essere utilizzato non fa che incrementare la mole di rifiuti che si accumula nelle nostre discariche e che spesso finiscono per essere inceneriti.
- Ridurre il consumo di carne. Pensate che per produrre un chilo di carne di manzo vengono emessi 59.6 Kg di CO2!!
- Prediligere prodotti alimentari a Km 0 rispetto a quelli che compiono lunghissimi viaggi prima di raggiungere le nostre tavole. E soprattutto (e ciò non è per nulla scontato) rispettare la stagionalità degli alimenti: mangiare in inverno le ciliege che provengono dalla Cina, tanto per fare un esempio, ha infatti un grande impatto ambientale perché la merce deve essere trasporta per lunghi tragitti e ciò comporta un’enorme immissione di CO2 in atmosfera.
- Ovviamente a nessuno viene chiesto di cambiare radicalmente la propria vita da un giorno all’altro! Semplicemente è importante iniziare a porre l’attenzione su determinate scelte e iniziare a considerare un cambiamento alla volta per potere ridurre sempre di più il proprio impatto ambientale!